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"Madonna col Bambino in trono tra i SS. Giovanni Battista, Girolamo, Pietro e Paolo, Agostino, S. Sebastiano" di Giovanni Buonconsiglio
di Lionello Puppi
Della grandiosa pala, che era segnata e - all'evidenza - datata, leggibile resta solo la firma:
"IOANNES BONICONSILII P [INXIT]", talché, per buon tratto e troppo spesso, gli studiosi si son affidati
all'insidia del mero giudizio stilistico per pronunciare l'indicazione di una scadenza cronologica:
che il Borenius ed il Foratti giungevano a ritardare sin ad un 1520 francamente curioso quando solo si
pensi - per star alla logica di quei metri d'analisi - al riscontro della pala della Chiesa di S. Pietro
a Montecchio Maggiore, siglata 1519, e tanto più stanca e fiacca, pur nello sforzo d'accettare ed includere
nel discorso nuove voci, quali il Romanino di S. Giustina a Padova.
In realtà, la informazione dei due
citati studiosi (e quella, poi, dei Rumor-Bernarth) s'arenava, e falliva, persino nell'accertamento della
originaria sede del dipinto, indicata erroneamente in una Chiesa della natività: mentre sappiamo (Giacomelli)
che fu realizzato per la Cappella della Natività in Duomo, donde sarebbe passata in seguito nella Cappella
Maggiore della Chiesa di S. Francesco, a prestar fede allo Storni (1797): di qui - rimossa, e sostituita
da una tela di Palma il Giovane - passò nel Municipio montagnanese per venir finalmente ricollocata
nell'originaria sede in Duomo.
Al Beccari (ante 1683) ed ancora allo Storni dobbiamo la lettura della data,
quand'era ancor visibile: e si tratta del 1507 che, tanto più ovviamente, torna con le risultanze di una
recognizione stilistica attenta e pertinente. E non solo. L'ancona concludeva e sigillava il dispiegamento,
sulle pareti della Cappella, di un ciclo di scene della vita della Vergine, che già al Beccari risultava esser
stato faccenda del Marescalco, in realtà responsabile, ad un esame perspicace, solo dei riquadri della
zona inferiore (spettando i superiori, pervenutici, molto probabilmente a Jacopo da Montagnana dopo il 1499:
giusta il Giacomelli, le fondamenta della Cappella, in quell'anno, non risultavano ancor scavate) di cui due
frammenti ci son pervenuti, e son stati oppotunamente, sebbene con sfasatura cronologica, rivendicati
al nostro maestro dalla Spettoli.
Di fatto, tra gli affreschi e la pala non esiste soluzione di continuità
stilistica, e basterebbe paragonare il panneggio rigonfio, dai ritmi larghi e lenti, delle figure scampate
della parete di destra (relitti, per certo, di una "Visitazione") con quello, parimenti caratterizzato, del
rosso manto di S. Paolo e della tunica rosa di S. Pietro; la costruzione del volto e del tronco del paggio,
sull'altra parete (relitto di una "Presentazione al Tempio"), con l'impostazione del S. Sebastiano (Puppi).
Di più. I segni d'affresco sopravvissuti consentono di restituire idealmente una maestosa misura compositiva
di spazi che il trionfo della Vergine in trono circondata dai sei Santi doveva coerentemente concludere,
esaltando, con quella finzione architettonica di baldacchino e di nicchia ove l'aggiornamento sapiente del
Buonconsiglio alla civiltà costruttiva contemporanea (verificata, infine, dal nome di Vitruvio e
dall'educazione data al figlio) secondo un'attitudine già in precedenza manifestata e mai declinata, giunge,
al tempo stesso, a sostanziare d'originalità se non tout court a rinnovare lo schema belliniano del dipinto
d'altare.
Molto acutamente, quindi, il Pallucchini annota, in presenza di quest'opera - che attesta il primo
approdo del Buonconsiglio da Venezia a Montagnana, di cui diverrà, poco più tardi habitué per un buon
lustro - che, rispetto alla prova, 1502, della Pala dell'Oratorio dei Turchini, ora nel Museo di Vicenza,
pur già così avanti rispetto alla giovanile visione d'antonellismo belliniano e montagnesco, "le figure [vi]
assumono un andamento più monumentale, equilibrandosi a loro agio in confronto con la struttura della
cappella lombardesca, scandita con tanto rigore prospettico alle lor spalle…".
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